Prima parte
Come siamo arrivati ai referendum

Fin dal 1996, e nel corso di tutto il dibattito parlamentare, il Forum delle donne e il Prc, con associazioni e gruppi di donne, la Cgil, la rete delle parlamentari contrarie alla legge, medici, ricercatori/trici e giuristi/e, hanno svolto, anche attraverso il Tavolo di donne di bioetica, un grosso lavoro di sensibilizzazione per fare conoscere la legge che si andava prefigurando e per promuovere una critica diffusa ai suoi contenuti, assumendo come punto di vista la vita quotidiana delle donne, la loro esperienza e la loro elaborazione sul proprio corpo e sulla maternità.

La proposta del Prc era, già da allora, alternativa: quella di un diritto “mite”, che rinuncia a imporre regole al corpo e al comportamento femminile e rispetta la diversità dei punti di vista e delle convinzioni etiche e religiose, che non decide chi può accedere alla fecondazione assistita e chi no e non impone al medico le pratiche cliniche a cui ricorrere e come devono essere applicate, ma si limita a regolamentare i centri pubblici e privati per garantire, nello stesso tempo, l’accesso informato e consensuale alle tecniche di fecondazione e la salute della donna, sottraendo l’una e le altre alla speculazione economica.

La legge approvata dal parlamento è invece una legge proibizionista e violenta, nemica dell’autodeterminazione delle donne, della possibilità per le ricercatrici e i ricercatori italiani di partecipare al progresso della ricerca applicata alla cura di gravi e importanti malattie, della responsabilità di donne e uomini in una scelta fondamentale della loro vita come l’esperienza genitoriale. Una legge che non ha pari in Europa, e fomenta diseguaglianze e discriminazioni, perché spinge cittadine e cittadini italiani che desiderano figli e hanno necessità di ricorrere a queste pratiche cliniche a rivolgersi a centri esteri (se ne hanno la possibilità economica) o alla rinuncia.

Immediatamente dopo l’approvazione della legge ha preso il via un vasto movimento referendario che ha attraversato la stagione politica da aprile a settembre 2004 raccogliendo molte firme più del necessario e si è caratterizzato sia per l’assunzione di reponsabilità di associazioni e gruppi di donne, esponenti dei partiti e dei sindacati, di medici, ricercatori e ricercatrici, giuriste e giuristi che già si erano mobilitati durante la discussione parlamentare, sia per il protagonismo e la presa di parola dei soggetti in carne ed ossa, dalle persone infertili, a quelle colpite da malattie trasmissibili, a quelle che affidano la speranza di guarigione al progresso della ricerca sulle cellule staminali embrionali. Questo movimento ampio e articolato, plurale e allo stesso tempo unitario, ha sinora superato passaggi difficili, non solo la raccolta delle firme, ma anche il giudizio di ammissibilità dei referendum proposti da parte della Corte costituzionale.

Con una decisione quasi senza precedenti, a pochi giorni dalla convocazione della Corte, il Governo si è infatti costituito contro l’ammissibilità dei referendum. Nello stesso tempo, hanno chiesto di intervenire contro la consultazione popolare anche il Movimento per la vita e alcuni Comitati che si erano costituiti per l’occorrenza, fatto anche questo senza precedenti, e probabilmente illegittimo. La Corte, che si è espressa in questo clima di forte tensione politica, non ha ritenuto ammissibile il referendum per l’abrogazione totale della legge, quello che esprimeva la volontà di ampi settori del movimento referendario e della società civile e su cui era stato raccolto il maggior numero di firme. Sono invece stati accolti gli altri quattro referendum, che abrogano solo parzialmente la legge. Certo, avremmo preferito che la consultazione popolare potesse svolgersi anche sulla proposta di cancellazione della legge; d’altra parte le quattro proposte di abrogazione parziale ne modificano radicalmente l’ispirazione e l’impianto ideologico. La distanza tra il testo che emerge dal complesso dei referendum ammessi e la legge emanata dal parlamento meno di un anno fa (in assenza di un dibattito reale nel paese) è davvero profonda. Dal complesso dei quesiti parziali emerge una indicazione politica su cui oggi converge il movimento referendario: che su argomenti così complessi e in una società pluralista, l’atteggiamento del legislatore deve essere laico e la norma “leggera”, non invasiva della sfera privata, non lesiva del diritto di scelta delle persone su aspetti fondamentali della loro vita affettiva come l’esperienza genitoriale. In primo luogo - questa è la sollecitazione forte del referendum per la cancellazione dell’articolo 1 – va riaffermata l’autodeterminazione femminile, che la legge calpesta, lasciando intendere la volontà di abrogare la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. La riaffermazione dell’autodeterminazione femminile e dell’inviolabilità del corpo della donna è la ragione di fondo che sorregge l’indicazione per il SI ai quattro i referendum. Il successo del SI consentirà di ristabilire una relazione tra Stato e cittadini rispettosa dell’esistenza di convinzioni e orientamenti morali diversi. In questo senso, la campagna referendaria ha poco a che vedere con la riproposizione di un conflitto tra cultura laica e cultura cattolica, alimentato invece dall’invito all’astensione da parte del Cardinale Ruini e delle gerarchie vaticane più tradizionaliste. In realtà, la legge 40 è dannosa per la convivenza civile proprio per questa pretesa di imporre a tutte e tutti una ed una sola morale. Nello stesso tempo, e paradossalmente, essa è superflua per i cattolici, che non hanno bisogno di una legge dello Stato per attenersi a un precetto religioso.

La data fissata per il voto è un altro ostacolo che il movimento referendario dovrà superare. Il governo ha infatti differito la consultazione al 12 e 13 giugno, una scelta che aiuta la linea astensionista, perché una parte dell’elettorato sarà in vacanza e il raggiungimento del quorum, quindi il successo dei referendum, sarà più difficile. Per questo siamo impegnati in una grande campagna politica di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di moltiplicazione delle iniziative, che coinvolga donne e uomini, associazioni e comitati, esponenti del mondo scientifico e tutte le forze democratiche nella mobilitazione per riaffermare il principio di autodeterminazione femminile, la laicità dello Stato, l’uguaglianza sostanziale, lo sviluppo della ricerca terapeutica per la cura di malattie gravi e diffuse.


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